Il territorio di Olmedo è particolarmente ricco di testimonianze archeologiche.
In località Santu Pedru, sul confine con il territorio di Alghero, vennero scavate, a partire dal 4° millennio a.C. dieci domus de janas, sepolture ipogeiche utilizzate a lungo da genti delle diverse culture che si successero in Sardegna per oltre un millennio, dall’epoca della Cultura di Ozieri fino a quella di Bonnanaro, ormai alle soglie dell’epoca nuragica. Alcune delle tombe, in realtà, furono riutilizzate anche fino all’epoca altomedievale.
La più conosciuta è senz’altro quella denominata da Ercole Contu “tomba dei vasi tetrapodi”, per la particolarità dei numerosi vasi con quattro piedi della Cultura del vaso campaniforme che qui vennero rinvenuti.
Questa tomba (n. I) si distingue anche per la sua monumentalità e le dimensioni: è infatti costituita da 9 celle, alle quali dà accesso un dromos (corridoio) lungo 16 m.
Anche più articolata è la tomba III, costituita da ben 13 celle, per uno sviluppo di oltre 161 mq. Tutte le tombe sono inoltre decorate con numerose riproduzioni di elementi architettonici, quali architravi, cornici, pilastri, gradini, che ci restituiscono l’aspetto delle capanne dei villaggi contemporanei, che altrimenti non potremmo conoscere.
Non lontano da questo luogo è il sito forse più conosciuto del territorio di Olmedo: il complesso megalitico fortificato di Monte Baranta, in località Su Casteddu, su un pianoro trachitico. Esso è costituito da una torre-recinto, da un’area cultuale e da una possente muraglia difensiva larga 5 m, conservata per 97 m di lunghezza, con una altezza residua di 3,75 m, che cinge, solo in parte, le capanne del villaggio, proteggendo la porzione aperta dell’altopiano, che su tre lati è invece reso sicuro dalle pareti piuttosto scoscese.
Inizialmente attribuito da Ercole Contu all’epoca nuragica, i primi ritrovamenti di ceramiche, seguiti da scavi regolari tra 1979 e 1981 (e poi nuovamente nel 2012) hanno permesso di ascrivere il complesso all’età del Rame, precisamente alla Cultura di Monte Claro. Si tratta di una delle più antiche strutture difensive rinvenute in Sardegna, in quanto non è documentato niente del genere nella precedente fase neolitica, possibile segno di un significativo cambiamento socio-culturale avvenuto nel 3° millennio a.C.
Anche durante l’epoca nuragica il territorio fu fittamente abitato, tanto che sono oggi noti oltre venti nuraghi, tra i quali il nuraghe Sa Femina, conservato dentro il moderno abitato.
Invece in località Camposanto era presente un tempio a pozzo in opera isodoma, i cui materiali vennero pubblicati nel 1933 da Antonio Taramelli, il quale riferisce che il tempio fu poi completamente distrutto. Da questo sito provengono uno straordinario modellino di nuraghe quadrilobato, con mastio centrale, ma anche numerosi altri reperti in bronzo quali una statuetta di offerente, un muflone, un bue, sette daghe, un fusto di navicella terminante con una torre di nuraghe con una colomba e cinque panelle di rame.
Naturalmente il territorio presenta tracce significative anche delle successive fasi storiche. Tra queste si segnala nei pressi del nuraghe Talia l’impianto termale, probabilmente pertinente a una villa di epoca romana imperiale. Si tratta di un complesso costituito da quattro ambienti, che restituiscono anche rivestimenti in marmo e frammenti di pavimenti a mosaico.
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