Benvenuti al nuovo appuntamento con il nostro tour virtuale del Museo Archeologico di Cagliari.
Oggi vi mostriamo da vicino questo capolavoro dell’artigianato punico che fa parte del corredo funerario della tomba a camera ipogeica 12 AR, necropoli punica di Sulci Sant’Antioco.
Si tratta di un alabastron in pasta vitrea policroma su fondo azzurro con piccole anse sinuose, destinato a contenere profumi e unguenti, molto frequenti tra le offerte fatte ai defunti.
Per realizzare i balsamari, ma anche pendenti e vaghi di collana in pasta vitrea si utilizzava la tecnica su nucleo friabile, ossia il vetro caldo era colato su un nucleo di materiale friabile (argilla, sabbia e materiale vegetale) ricoperto da uno strato di tessuto. Un’asta di metallo permetteva di ruotare opportunamente il nucleo e di colare i filamenti di vetro colorato e caldo, trasformati in decorazioni a linee ondulate, festoni o spirali con piccoli e appuntiti strumenti di metallo che spargevano il materiale vetroso.
Le applicazioni come le anse del balsamario erano posizionate per ultime ugualmente a caldo. Quando il manufatto era totalmente solidificato il nucleo di argilla veniva rotto ed estratto dall’interno che rimaneva così cavo.
La tecnica di soffiatura del vetro fu scoperta solo più tardi e utilizzata dai Romani. La scoperta e l’utilizzo del vetro però risale addirittura al 4° millennio a.C. nell’area mesopotamica, da cui si diffuse nel corso dei millenni successivi anche all’area siro-palestinese, che divenne fondamentale anche per la commercializzazione dei manufatti.
A partire dalla metà del 2° millennio la lavorazione del vetro si diffuse ampiamente anche in Egitto, dove vennero raggiunti elevatissimi risultati.
La pasta vitrea è composta da sabbia quarzifera, carbonato di calcio come stabilizzante e una sostanza alcalina chiamata natrum, con la funzione di abbassare il punto di fusione. I colori erano ottenuti con l’aggiunta alla massa vetrosa di altre sostanze (coloranti, ossidi metallici e minerali).