La grande prosperità del III secolo poco per volta sembra tramontare, all’interno di un IV secolo difficile per tutto il mondo romano e mediterraneo. Anche se il lastricato della via del porto viene costantemente curato, l’abitato si contrae. Verso Nord-Ovest si coglie un paesaggio sempre più sparso di rovine, all’interno del quale è stato ben seguito l’innestarsi di nuove attività artigianali. Nelle zone centrali, in gran parte delle abitazioni vengono tirati tramezzi, badando soprattutto all’utilità e non più al decoro. Aumentano, e sono visibili ovunque, i rabberci resi possibili da una quantità sempre maggiore di macerie.
Occupati definitivamente i portici, viene abbandonato anche il teatro: sotto le volte degli accessi sono stati trovati i resti di focolari in cui attorno al 400 si bollivano carni di pecora.
In questo quadro si inseriscono però nuovi grandi interventi urbanistici: la ricostruzione dell’edificio sacro sulla punta del serpente, verso Sud, e lo sventramento del quartiere centrale, con ogni probabilità già almeno parzialmente in rovina, per creare una scenografica strada d’accesso.
Anche le terme centrali cambiano: chiuso l’accesso da Sud, un nuovo lungo corridoio mosaicato collega l’originario frigidario con la zona del teatro, passando in mezzo ai resti delle antiche case signorili e accanto al serbatoio (il castellum Aquae) delle terme.
L’esatta datazione di questi complessi interventi non è ancora sicura, essendone ancora in corso le indagini.
Più chiara invece la datazione di un’ultima fase di sviluppo urbanistico, voluto certamente dal potere centrale tra il 420 e il 430 d.C. Agli stessi anni un’epigrafe riporta il ripristino voluto da Teodosio II dell’acquedotto, che era andato evidentemente in rovina. Si preparavano allora le spedizioni contro i Vandali dell’Africa e i porti meridionali della Sardegna venivano ristrutturati come basi di partenza della flotta.
Si spianarono le macerie e nuove case vennero costruite attorno a quello che era stato l’edificio delle terme centrali ed anche lungo la strada costiera verso il porto, che rimaneva la ragion di vita della città.
Le attività artigianali si spostarono in città: ciascuna casa aveva il suo forno, ed una fornace venne ricavata nel frigidarium di quelle che erano state le piccole terme, ricche di mosaici.
Le Terme a Mare divengono una fortezza a protezione del porto, come già vide Tronchetti quando le scavò, nel 1977.
Le nuove case mostrano un alto livello, compatibilmente per quei tempi: attorno al cortile centrale c’erano uno o più ambienti padronali, il laboratorio, la stalla e i magazzini.
Anche questa tarda fase edilizia presto declinò. I cortili interni furono messi in collegamento tra loro da nuove aperture, a formare un complesso sistema di vicoletti e piccole piazzette sterrate, sui quali si aprivano impoverite case di pochissime stanze, ricavate all’interno delle case teodosiane.
Pochissime le nuove strutture. I materiali rinvenuti dicono che la vita in qualche modo vi proseguì almeno sin dentro il VII secolo, per poi ritirarsi definitivamente nelle più sicure alture lontane dalla costa. Per i secoli successivi nell’area di Nora si trovano solo tracce di frequentazione pastorale e di asportazione di materiali edilizi. Almeno dall’XI secolo il nuovo polo divenne la chiesetta dedicata al martire S. Efisio, nell’area delle necropoli romane, oltre l’istmo verso Pula.
Testo di Jacopo Bonetto