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Se «la guerra è cosa da uomini», allora la pace è cosa da donne: a proposito di Andromaca e delle altre
Dialoghi di archeologia, architettura, arte e paesaggio12 giugno 2025

Giovedì 12 giugno ore 18:00 vi aspettiamo presso il Teatro dell’Arco in Via Porto Scalas 47, Torre degli Alberti a Cagliari per l’incontro “Se «la guerra è cosa da uomini», allora la pace è cosa da donne: a proposito di Andromaca e delle altre”.

Valeria Melis, Grecista, Assegnista di ricerca Università di Genova, Docente di Letteratura e Grammatica greca Università di Sassari, terrà l’incontro nell’ambito della rassegna “Dialoghi di archeologia, architettura, arte e paesaggio” a cura di Maria Antonietta Mongiu e Francesco Muscolino.

Muoversi tra mito, letteratura, storia, facendosi aiutare da scritti, saggi, riflessioni, o prendere come filo rosso figure come Andromaca aiuta a dare parola a molte altre donne che nei millenni hanno gridato o sussurrato contro la guerra. Sono voci di donne la cui eco ci ispira specie in questa fase storica in cui urgono pratiche di pace. Sono la memoria mai sopita del tempo in cui l’esercito abbatte le mura e il fuoco divampa su palazzi, templi e teatri, ovvero del tempo che, ripetutamente, ha visto il tracollo della civiltà, della dissoluzione di ogni norma, umana e divina. Caduti i difensori, gli anziani – testimoni della storia e dell’antica prosperità – vengono massacrati. «Nemmeno quello che la madre porti in grembo ancor piccolo, nemmeno lui possa sfuggire!», tuona Agamennone nel sesto canto dell’Iliade. Si muore tutti insieme, senza esequie né memoria (Il. 6, 58-60). E le donne? Le donne, «fondamenta della città in pace», diventano i «frammenti della città distrutta» (L. Consoloni). Violate, ridotte in schiavitù, trasformate in bottino di guerra, esse sono tutto ciò che resta dopo la persis: le sole a custodire il ricordo della città annientata. Eppure, da Omero alla tragedia – e oltre – «la guerra è cosa da uomini» (Il. 6.492); le donne devono restare in casa, silenziose, invisibili (Il. 6, 490-1; Aesch. Sept. 232; Thuc. 2, 45, 2). Ma se «la guerra è cosa da uomini», allora la pace è cosa da donne. Infatti, escludendo il sovvertimento mitico rappresentato dalle Amazzoni, la letteratura greca (e non solo) raffigura la donna per lo più come mediatrice, come artefice di riconciliazione. Lo fa Stesicoro, seguito da Euripide nelle Fenicie, quando mostra Giocasta intenta a placare i figli, Eteocle e Polinice. E lo fa, provocatoriamente, Aristofane. Nella Lisistrata, rappresentata nel 411 a.C., alla vigilia del colpo di Stato oligarchico e nel pieno della guerra del Peloponneso, il poeta rovescia i ruoli: affida agli uomini velo e conocchia e pone le donne a capo di un rivoluzionario sciopero del sesso, che porterà alla pace tra Ateniesi e Spartani. Lungi dall’essere rappresentate come pseudo-hetérai, secondo la definizione di Sarah Stroup (2004), o come sex-crazed whores, secondo Christopher Faraone (2006), le donne di Aristofane sono astaí, cittadine a pieno titolo, che rivendicano il diritto di «dare buoni consigli alla città» (Lys. 648), in virtù del bene ricevuto e del tributo costantemente pagato: generare e crescere soldati (Lys. 651).

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